lunedì 15 dicembre 2008

MORIRE A NATALE

Mentre camminavo mi sentivo solo. Solissimo. Ma non emarginato. Perchè sapevo che un emarginato dopo tre anni sale di grado e viene promosso a solitario. Allora volevo volare sull'isola di Pasqua per fare compagnia ai Moai. Perchè non hanno mai ricevuto un abbraccio, a meno che non siano passati per Via del Corso nel mese in cui andavano di moda i free hugs. Era come quella volta che ha piovuto per sempre. Che anche il sole era bagnato fradicio. Che "gocce di pioggia su di me / mentre cammino sono triste senza te". E mi sentivo come un presepe invenduto la notte di Santo Stefano. In quei giorni non andavo neanche d'accordo col mio amico immaginario. Lui si spegneva le sigarette sui polsi. E siccome lo faceva lui, lo facevo pure io. Perchè gli volevo bene. Poi però aveva anche cominciato a farsi i tagli. E mamma mi aveva detto di lasciarlo perdere una volta per tutte. Perchè era una cattiva compagnia. Una brutta amicizia. Penso che ormai sia morto in seguito ad un'overdose di solitudine, il mio amico immaginario. Credevo che anche io avrei fatto quella fine. Poi una voce -fuori coro- mi ha sussurrato all'orecchio: "anche se un presepe non è stato venduto per Natale non significa che il pastore davanti alla capanna abbia un gregge di pecore nere. Arriverà un altro Natale." E io non mi sentivo più così solo.

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