lunedì 15 dicembre 2008
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Avevi deportato i miei neuroni in un campo di concentramento. Da quel giorno, tra la commozione generale della gente e cerebrale mia, non ero più in grado di calcolare gli integrali con l'abaco. Allora aspettavo l'inverno per tornare a vincere a braccio di ferro con i rami secchi degli alberi morti. Perchè in estate i fiori ruggivano. E le sabbie mobili inghiottivano gli esploratori. E le mie giustificazioni. E i delfini volavano. E io impazzivo. E prendevo a morsi la via lattea per non impazzire. E iniziavo a mangiarmi le unghie per non impazzire. E finivo per divorarmi tutto l'asfalto di Roma. Che non ho mai avuto il senso delle proporzioni. E intanto cercavo disperatamente una cura contro sette coltellate all'anima. E non la trovavo. E l'anima si reincarnava in un fantasma. Senza l'uso di lenzuola. Senza un castello del '600. E non trovavo pace. Perchè impazzivo. E sparavo col bazooka ad Atlante per farmi cadere il cielo in testa. Ma la forza di gravità non funzionava bene. Perchè impazzivo. E avevo legato i miei supereroi sui binari di una ferrovia per vederli morire. Perchè stavo impazzendo. Ma c'erano dei problemi alla stazione di Vetralla. E il treno era in ritardo. E la cosa mi faceva impazzire.
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